Time for change
Quest’estate siamo stati in vacanza in Toscana per qualche giorno.
L’hotel aveva una splendida vista panoramica sui vigneti, con la città di Montepulciano incorniciata maestosamente sullo sfondo.
Era la quintessenza della bellezza toscana e una delizia da guardare.
Ciononostante, al momento del check-in abbiamo ricevuto un lungo elenco di cose che non era consentito fare a causa delle precauzioni dell’hotel per il Coronavirus.
Per esempio, il ristorante era completamente chiuso, e (curiosamente!) il virus era anche responsabile della mancanza di aria condizionata.
Era chiaro che avevano deciso di impiegare soltanto tre dipendenti invece di dieci o quindici.
Non avendo avuto alcun guadagno durante il lockdown, sarebbe stato difficile rimproverarli per aver adottato misure per ottenere un margine più elevato, specialmente con così tanta incertezza nel futuro.
Avevano fatto il punto su ciò che avevano da vendere, ridotto la loro offerta, e dato la colpa di tutti questi cambiamenti al Coronavirus.
Negli ultimi nove mesi anche il settore fieristico ha dato la colpa di tutti i propri mali al Coronavirus.
Questo modo di vedere le cose è fondamentalmente viziato.
Le cose non torneranno alla ‘normalità’.
Mettendo da parte l’aspetto economico, la nostra industry non è la stessa del mio hotel di Montepulciano.
Nonostante le aspettative di riapertura nel 2021: i clienti stanno giustamente valutando il ‘return on investment’ visto i budget limitati, e hanno valide preoccupazioni sulla quantità e qualità di pubblico in presenza che saremo in grado di fornire, considerate le limitazioni e l’esitazione delle persone a viaggiare.
La realtà è dura.
E allora, cosa dovrebbero fare gli organizzatori a tal proposito?
Anche se finanziariamente doloroso, potrebbero decidere per questa volta di non fare niente, aspettare che il virus passi e riavviare le fiere come ‘normale’.
Ma le aspettative dei nostri client sono radicalmente cambiate.
Gli ultimi mesi hanno accelerato la trasformazione digitale di quasi tutte le industry.
Come organizzatori che ragionano con il cliente al centro, se non rispecchiamo il cambiamento nei nostri clienti, siamo destinati a diventare irrilevanti.
La domanda non è se trasformarci, ma in cosa trasformarci?
Cos’è necessario fare esattamente?
Sebbene meno rispetto ad altri settori, stiamo discutendo di opportunità di digitalizzazione, sfruttando dati e tecnologie, da parecchi anni.
Ora la trasformazione attraverso il digitale, i dati, la tecnologia e gli advanced analytics deve avvenire.
Ma in cosa dovrebbe trasformarsi una fiera (che è sempre stata storicamente “fisica”)?
Nella maggior parte dei casi una fiera crea valore convogliando comunità diverse in un momento e in un luogo specifici.
Mentre ‘virtuale’ e ‘ibrido’ sono le attuali parole d’ordine, la verità è che gli organizzatori hanno bisogno di costruire eventi che miscelino canali digitali e face-to-face in modi innovativi per rispondere ai bisogni dei propri espositori.
In un precedente articolo, io e Paul Rodriguez avevamo descritto come un approccio basato sui dati può essere utilizzato per evolvere il modello di marketing di un organizzatore.
Ciò può essere esteso a come un organizzatore si trasformi per rispondere al meglio alle esigenze degli espositori.
Prendiamo un’ipotetica fiera europea di hospitality ed esploriamo un possibile percorso di trasformazione.
Hanno dovuto posticipare l’edizione 2020, e prevedono di svolgere la prossima edizione nella primavera 2021.
Per mitigare il rischio, la stanno pianificando in una forma di evento ibrido.
Nei prossimi quattro mesi dovrebbero:
- Fare delle call individuali con tutti gli espositori che avevano confermato la partecipazione per il 2020 (e che avevano partecipato all’edizione 2019) per raccogliere input dettagliati riguardo le loro necessità ed esigenze per l’evento 2021. E’ una mossa ‘vecchia scuola’, ma fondamentale per capire la situazione.
- Utilizzare le analisi dei dati per identificare un ulteriore gruppo di aziende simili e altamente rilevanti che non sono ancora espositori ma con molta probabilità hanno esigenze simili agli espositori attuali.
- Avviare una serie di forum online che combinino un mix di questi due gruppi in cui discutere gli esiti delle call iniziali e ottenere riscontri. Si possono usare sondaggi per raccogliere dati in modo da segmentare i partecipanti ai forum in base alla loro attitudine al rischio, aspettative di persona e idee su modi alternativi di fare business se l’evento dovesse essere nuovamente posticipato.
- Classificare espositori confermati e potenziali in gruppi distinti per finalità di marketing – è fondamentale identificare quelli che sono sensibili al prezzo, quelli che sono fedeli e quelli che sono più aperti a sperimentare. Coloro che sono molto sensibili al prezzo dovrebbero essere indirizzati verso l’offerta digitale, mentre quelli fedeli e aperti a sperimentazioni orientati verso entrambe le offerte (live e digitale).
- Parallelamente, definire il mix di componenti digitali e live dell’evento ibrido 2021. È molto importante stabilire i touch points tra elementi fisici e online, identificando cosa deve accadere contemporaneamente e cosa può essere invece fornito prima e dopo l’evento fisico. Ultimamente, la qualità dell’esperienza dipenderà dall’esistenza di interazioni importanti fra l’audience online e il quartiere fieristico fisico.
Un tale approccio incentrato sull’espositore è progettato per creare dati per costruire efficacemente un evento ibrido con un mix di espositori che hanno vari livelli di apertura all’esposizione online.
Sebbene la tecnologia è una componente chiave dell’offerta, questa può essere esternalizzata o acquistata (ne avevamo già parlato qui).
È facile essere spaventati dalla tecnologia, ma una volta messa in piedi la visione su come rispondere alle necessità degli espositori, i componenti tecnici si sistemeranno.
L’elemento nascosto di questo racconto è lo sforzo necessario per andare oltre il processo di vendita tradizionale.
Mettere insieme le componenti fisiche e quelle digitali e soprattutto spiegarne il valore agli espositori è una sfida notevole.
Questa sfida non deve essere sottovalutata.
Una combinazione di live e digitale crea una sfida sulla presentazione dei prodotti e sul messaggio promozionale.
Questi sono un elementi nuovi per un sales team abituato a vendere metri quadri e pacchetti di sponsorizzazione.
Gli eventi ibridi creano una varietà di prodotti, ma richiedono anche il coordinamento (‘orchestrazione’) di svariati touch points e uno stile di vendita consultativo nuovo per la maggior parte degli organizzatori.
Come iniziare?
Uno dei pochi vantaggi che gli organizzatori hanno (e dovrebbero ricordarsi di avere, perché è pericoloso rimanere nella “paralisi delle analisi”) è che le scelte che fanno oggi non sono per sempre.
Ci sarà comunque un’aspettativa sull’incremento dell’offerta digitale ed ibrida per la prossima edizione, e anche l’aspettativa che le cose non saranno più ‘come prima’.
È sufficiente guardare a cosa e’ successo nel settore dell’educazione negli ultimi mesi per realizzare che quando non c’è un’alternativa, ciò che viene offerto è accettato – anche se non è perfetto.
Portare a bordo e aumentare le competenze dei propri dipendenti potrebbe in alcuni casi essere la sfida più grande di tutte.
Gestire il cambiamento richiederà la creazione di una burning platform stimolante per facilitare questo cambiamento.
E’ necessario che la leadership descriva la via da seguire, premiando i modelli positivi e sostenendo la necessità di costruire le fiere del futuro basate sui dati.
Mark Parsons e’ il Managing Director di Events Intelligence, una start-up di ‘big data’ che utilizza l’apprendimento automatico (machine learning) per trovare nuovi espositori simili.
Negli ultimi cinque anni ha supportato i team di Strategia e di M&A presso i principali organizzatori utilizzando tattiche di deal origination guidate dai dati.
In precedenza era M&A Principal presso UBM, mentre l’azienda implementava la strategia “Events First”.
Prima di UBM ha lavorato a lungo nel settore TMT come consulente professionale, da ultimo come direttore nella pratica di Transaction Advisory di EY.
È dottore commercialista, ha conseguito un Executive MBA presso la London Business School e un Master in Data Science and Business Analytics presso la NYU Stern.
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Clay Banks, Markus Winkler, Mohammad Shahhosseini on Unsplash